Sistema di navigazione magnetica remota niobe stereotaxis

Sistema di navigazione magnetica remota niobe stereotaxis

 

Si tratta di una tecnologia che permette il trattamento di aritmie cardiache con un elevato grado di efficienza, sicurezza e precisione. Utilizzando un software, il medico guida due magneti posizionati vicino al paziente; questi, a loro volta, direzionano un catetere all’interno del cuore del paziente.

Che cos’è la stereotaxis?

Rappresenta un sistema all’avanguardia che consente ai medici di eseguire il trattamento di aritmie cardiache con un elevato grado di efficienza, sicurezza e precisione. Utilizzando un sofisticato software il medico può guidare due potenti magneti posizionati vicino al paziente; questi, a loro volta, direzionano dolcemente un catetere, controllandone la punta magnetica, all’interno del cuore del paziente.

 

A cosa serve?

Attraverso questo sistema il medico può posizionare in modo sicuro il catetere in base a dove risulta necessario somministrare la terapia. Pertanto il medico può attivare il catetere ed eseguire il trattamento. I campi magnetici generati dai magneti hanno un’intensità che è circa il 10% di quella tipicamente generata dai campi di apparecchiature di Risonanza Magnetica, tecnologia che viene largamente impiegata in medicina da oltre vent’anni, in totale sicurezza per i pazienti.

Poiché la punta del catetere di lavoro viene controllata da un campo magnetico, il medico mantiene un controllo digitale di alta precisione sulla punta del catetere, indipendentemente dalla distanza percorsa o dal numero di giri che il catetere deve effettuare per arrivare al tessuto malato. Il catetere viene guidato dalla punta tramite il campo magnetico e non spinto a mano, come avviene nelle procedure di ablazione manuale; non ha bisogno di un corpo rigido ed è perciò estremamente morbido e flessibile e quindi estremamente sicuro quando poggiato contro la parete di un cuore che batte o quando si viaggia attraverso il delicato sistema vascolare.

 

Quando viene utilizzata la stereotaxis?

È possibile utilizzare questo sistema per trattare l’insufficienza cardiaca e le malattie coronariche, anche se il suo impiego principale è nel trattamento delle aritmie cardiache: ovvero qualsiasi disturbo del ritmo normale del cuore.

Che vantaggi presenta il Sistema Niobe?

Questa tecnologia permette un nuovo standard di cura non invasiva ed efficace per i pazienti che possono avere avuto terapia farmacologica anti-aritmica non efficace e che risultano candidati all’ablazione trans catetere. Le procedure di ablazione con il Sistema Niobe sono estremamente sicure. A livello globale, i medici hanno eseguito più di 30.000 procedure di ablazione servendosi di questa tecnologia. Eventi avversi e complicanze maggiori si sono verificati in meno dello 0,1% dei casi.

 

Altri vantaggi che il sistema presenta sono:

Procedure più brevi o con tempi di recupero più veloce, che permette ai pazienti un ritorno alla normale attività dopo pochi giorni.

Una minore esposizione del paziente all’esposizione di raggi X e di mezzi di contrasto.

 

È doloroso o pericoloso?

In genere la procedura viene ben tollerata dai pazienti, grazie al fatto che in gran parte essa viene effettuata in sedazione profonda. È possibile che si presenti qualche malessere nel momento del reperimento degli accessi vascolari femorali (procedura a volte eseguita quando il paziente è ancora sveglio) o dell’allettamento successivo (generalmente fino alla mattina del giorno successivo).

Chi può sottoporsi al trattamento?

Tutti i pazienti che possono essere sottoposti a procedure di ablazione transcatetere.

Ci sono norme di preparazione o post-esame?

Non sono previste norme di preparazione.

Cardio Center

Stimolazione biventricolare per la cura dello scompenso cardiaco refrattario

Stimolazione biventricolare per la cura dello scompenso cardiaco refrattario

 

La contrazione del cuore dei pazienti con scompenso cardiaco refrattario avviene in maniera disarmonica e l’attività meccanica risulta inefficace e inadeguata. È possibile correggere in parte questo stato di alterata contrazione praticando una stimolazione di entrambi i ventricoli.

 

Di cosa si tratta?

Lo scompenso cardiaco refrattario si presenta come una condizione clinica in cui una terapia medica ottimizzata non è in grado di apportare miglioramento o di arrestare l’evoluzione della malattia nei pazienti con importante disfunzione ventricolare sinistra e dilatazione del cuore. La contrazione del cuore di questi pazienti, e in particolare di coloro che manifestano un difetto della conduzione dell’impulso noto come blocco di branca sinistra, avviene in modo disarmonico e l’attività meccanica risulta, pertanto, essere inefficace e inadeguata alle esigenze dell’organismo. È possibile correggere in parte questo stato di alterata contrazione praticando una stimolazione di entrambi i ventricoli.

 

Funzionamento della stimolazione biventricolare

Lo stato di alterata contrazione può essere corretto in parte praticando la stimolazione dei ventricoli destro e sinistro tramite il posizionamento di due elettrocateteri: uno in ventricolo destro e uno all’interno di un vaso venoso, il seno coronarico, che decorre lungo la parete del ventricolo sinistro. Attraverso la stimolazione simultanea da entrambe le sedi è possibile avere una contrazione cardiaca più armonica e si può, potenzialmente, migliorare la performance cardiaca, la portata cardiaca e la sintomatologia dei pazienti affetti da scompenso cardiaco (mancanza di fiato, ritenzione idrica). Con la stimolazione biventricolare non si ha un beneficio immediato, in quanto la modificazione della meccanica cardiaca avviene nell’arco di qualche mese.

 

Come avviene la procedura?

La procedura viene eseguita in anestesia locale analogamente all’impianto di pacemaker e defibrillatore. La durata può essere variabile a seconda delle difficoltà incontrate nel posizionamento dell’elettrocatetere ventricolare sinistro, ed è inclusa solitamente in un range che va da 1 a 3 ore. Il tutto viene eseguito in regime di ricovero (degenza media 5 giorni).

 

Vi è un potenziale miglioramento della funzione cardiaca e di conseguenza una riduzione della sintomatologia tipica dello scompenso cardiaco.

 

È doloroso/pericoloso?

La procedura viene effettuata in anestesia locale e in genere viene ben tollerata. Raramente, in caso di importante sintomatologia dolorosa, è possibile ricorrere alla sedazione profonda con assistenza anestesiologica.

 

Chi può sottoporsi al trattamento?

Buona parte dei pazienti soggetti a scompenso cardiaco refrattario e funzione ventricolare sinistra ridotta.

 

Follow-up

Dopo essere stato dimesso, il paziente deve sottoporsi a controlli semestrali del dispositivo, parallelamente alle valutazioni cliniche cardiologiche.

Studio elettrofisiologico con ablazione trans catetere del circuito della tachicardia

Studio elettrofisiologico con ablazione trans catetere del circuito della tachicardia

 

La necessità più o meno urgente di interrompere l’aritmia verrà determinata dai sintomi e dalla situazione in cui si verifica la tachicardia.

Dopo aver risolto l’episodio aritmico si può procedere con la terapia attualmente riconosciuta come gold standard, ossia lo studio elettrofisiologico con ablazione trans catetere del circuito della tachicardia. Nei pazienti con doppia via nodale il decorso della via rapida all’interno del nodo atrioventricolare corrisponde al tratto superiore e anteriore, mentre il tratto posteriore corrisponde alla via lenta. Lo studio elettrofisiologico prevede l’esecuzione delle stimolazioni atriali e ventricolari mirate ad evidenziare la presenza della duplicità nodale AV. Una volta confermata la presenza di doppia via nodale e fatta diagnosi di TRN, si procede all’ablazione della via lenta: vengono, pertanto, erogati dei polsi puntiformi, millimetrici, di radiofrequenza, effettuati con un catetere ablatore, in corrispondenza della via lenta, in modo da interrompere la conduzione elettrica lungo uno dei due bracci del cortocircuito (la via lenta anterograda). Dopo aver eliminato la via lenta viene nuovamente eseguito lo studio elettrofisiologico per poter così confermare la buona riuscita della procedura, registrando l’impossibilità ad indurre nuovamente tachicardie. L’esame elettrofisiologico e l’ablazione vengono effettuati in anestesia locale, procurata a livello inguinale destro. Gli elettrocateteri necessari per lo studio elettrofisiologico e per l’ablazione vengono introdotti attraverso la puntura della vena femorale. Il pomeriggio stesso il paziente si può alzare e la mattina successiva può essere dimesso.

Telemedicina per pacemaker, defibrillatore o monitor cardiaco

Telemedicina per pacemaker, defibrillatore o monitor cardiaco

 

La telemedicina permette il monitoraggio costante dei pazienti portatori di dispositivi impiantabili inviando i dati del pacemaker, del defibrillatore impiantabile o del monitor cardiaco impiantabile attraverso la linea telefonica di casa al computer dell’ospedale.

 

Che cos’è la telemedicina?

La telemedicina è la nuova frontiera del controllo diagnostico e terapeutico a domicilio di pazienti portatori di pacemaker, defibrillatore e monitor cardiaco impiantabile.

Il sistema di telemonitoraggio garantisce una rilevazione tempestiva di eventi clinicamente importanti (es. episodi aritmici) o eventuali problemi di integrità del dispositivo.

 

I pazienti sono confortati dalla consapevolezza che il medico può accedere ad informazioni di importanza critica per la gestione della cardiopatia e apprezzano la possibilità che i dati registrati dal dispositivo vengano inviati direttamente da casa.

 

La gestione delle informazioni avviene in modo completamente sicuro e riservato: le informazioni sono a disposizione soltanto del personale medico di riferimento che le potrà analizzare.

Con questo sistema gli operatori sanitari possono accedere ad una serie di informazioni paragonabili, anche se non sovrapponibili, a quelle ottenute durante una visita di controllo in clinica.

Il sistema, veloce e semplice da usare, è oramai reso disponibile dalla maggior parte delle Case Costruttrici di dispositivi impiantabili.

Terapie farmacologiche per il trattamento delle aritmie

Terapie farmacologiche per il trattamento delle aritmie

 

In caso di aritmie cardiache si ricorre spesso al trattamento farmacologico attraverso la somministrazione di farmaci antiaritmici o antiaggreganti/anticoagulanti. In entrambi i casi i pazienti sono sottoposti a monitoraggio durante la terapia.

 

Di cosa si tratta?

Il trattamento farmacologico rappresenta spesso il primo presidio utilizzato per i pazienti soggetti ad aritmie cardiache. Le classi di farmaci che si utilizzano maggiormente sono gli antiaritmici veri e propri e i farmaci antiaggreganti/anticoagulanti, che spesso risultano necessari in considerazione dell’aumentato rischio trombotico di diverse aritmie.

 

L’assunzione di farmaci antiaritmici di qualunque classe rende necessario che i pazienti si sottopongano a periodico monitoraggio cardiologico allo scopo di valutarne l’efficacia e l’eventuale comparsa di effetti collaterali.

 

I pazienti che assumono farmaci anticoagulanti orali devono sottoporsi ad uno scrupoloso monitoraggio dell’entità della scoagulazione del sangue attraverso esami del sangue periodici; tali esami guidano nella scelta del dosaggio dei farmaci per poter ottenere il miglior profilo coagulativo possibile (maggior beneficio e minor rischio di effetti collaterali come il sanguinamento).

 

 

Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

 

È possibile che il trattamento terapeutico della fibrillazione atriale sia farmacologico, con l’assunzione di farmaci antiaritmici che devono essere assunti 2-3 volte al giorno. I farmaci attualmente disponibili sul mercato sono molto efficaci nella prevenzione delle recidive aritmiche ma non raggiungono il successo totale; pertanto è possibile che molti pazienti presentino ancora delle recidive aritmiche che possono spingerli a recarsi continuamente al pronto soccorso. L’utilizzo di farmaci antiaritmici può essere considerato opportuno in base anche alla presenza di co-morbidità e alla presenza degli inevitabili effetti collaterali dei farmaci che, in teoria, se efficaci dovrebbero essere assunti sine die.

Trattamento per aneurismi dell’aorta addominale

Trattamento per aneurismi dell’aorta addominale

 

Che cosa è un aneurisma?

Con il termine aneurisma si indica una dilatazione localizzata e permanente di un’arteria causata dal danno delle fibre elastiche e muscolari presenti nella parete. Privo così della sua abituale elasticità, il vaso si allarga progressivamente sotto la spinta della pressione del sangue. L’evoluzione naturale dell’aneurisma determina un progressivo aumento di calibro del tratto di arteria coinvolto fino all’inevitabile rottura del vaso. I fattori di rischio che contribuiscono alla formazione dell’aneurisma sono ipertensione, familiarità, alti livelli di colesterolo, diabete e fumo. L’aneurisma dell’aorta è una malattia molto diffusa: colpisce circa il 6% della popolazione di età superiore a 60 anni e interessa più frequentemente i maschi. Gli aneurismi più frequenti coinvolgono l’aorta addominale sottorenale, ma qualche volta si estendono alle arterie iliache, cioè ai due rami principali di divisione dell’aorta diretti agli arti inferiori.

 

Con quali sintomi si manifesta un aneurisma?

L’aneurisma dell’aorta addominale è quasi sempre totalmente asintomatico, ossia non dà segno della sua presenza. Molto spesso, infatti, viene riscontrato nel corso di esami o visite eseguiti per altre ragioni. Alcune volte si può manifestare con un dolore al dorso ed alla regione lombare, causato dalla compressione esercitata dall’aneurisma sui corpi vertebrali e sulle radici nervose.

I sintomi della rottura dell’aneurisma, invece, sono molto diversi: dolori addominali o dorsali con anemia e calo importante dei valori di pressione arteriosa dovute all’emorragia. In caso di comparsa di questi gravi disturbi si deve procedere al ricovero in ospedale immediato per il trattamento.

 

Quali esami sono utili per la diagnosi?

Nella maggior parte dei casi, la palpazione dell’addome da parte del medico permette l’individuazione della presenza dell’aneurisma dell’aorta addominale, soprattutto nei soggetti magri o in presenza di aneurismi di ampio diametro.

L’ecografia addominale o l’ecocolordoppler permettono di valutare precisamente la sede dell’aneurisma, il suo diametro e l’eventuale interessamento delle arterie iliache. Esami come la tomografia assiale computerizzata (TAC) e l’angio-risonanza magnetica (angio-RNM) possono fornire dettagli ancora più precisi.

I soggetti in cui sono presenti fattori di rischio (ipertensione, familiarità, fumo, valori elevati di colesterolo, storia personale di malattia di cuore o delle arterie degli arti inferiori e delle carotidi, diabete, malattie croniche polmonari) dovrebbero effettuare periodicamente un esame ecografico o ecocolordoppler con studio dei diametri dell’aorta. Sarà il medico specialista ad indicare eventualmente la necessità e il tipo di esami per approfondimento.

 

Perché è importante la diagnosi precoce?

La diagnosi precoce della presenza di un aneurisma dell’aorta addominale, anche di piccole dimensioni, permette di controllare nel tempo l’evoluzione della dilatazione stessa e di effettuare il trattamento dell’aneurisma prima di arrivare alla rottura. Bisogna considerare, infatti, che il trattamento di questa malattia è attualmente da valutare come sicuro e con un margine di rischio contenuto quando viene effettuato in “elezione”, mentre le complicanze e la mortalità sono molto elevate se l’intervento è eseguito dopo la rottura.

 

Quali trattamenti sono possibili?

L’esecuzione dell’intervento chirurgico classico di aneurismectomia avviene secondo tecniche ormai collaudate da decenni e con materiali che sono notevolmente migliorati negli anni. Si sostituisce il tratto di aorta dilatato con una protesi, ossia un tubo di materiale sintetico, che viene ancorato con una sutura alla parete arteriosa sana. Questo tubo può essere retto o biforcato a seconda che venga coinvolta solo l’aorta addominale o anche le arterie iliache. Il flusso di sangue viene temporaneamente bloccato da pinze che vengono poi rimosse quando la protesi è stata ben posizionata.

Negli ultimi anni si è introdotta la possibilità di introdurre una protesi nel tratto di aorta dilatata, con un catetere che viene fatto risalire dall’arteria femorale (all’inguine): questa protesi è contenuta in una guaina che, sotto controllo radiologico, viene aperta solo quando è correttamente posizionata in corrispondenza dell’aneurisma. Il grande vantaggio di questa tecnica “endovascolare” è quello di non richiedere un’ampia incisione dell’addome (come invece avviene in caso di intervento chirurgico tradizionale): si può quindi effettuare in anestesia locale o spinale e prevede un tempo di permanenza in ospedale ridotto.

Rappresenta dunque una metodica utile per il trattamento degli aneurismi dell’aorta addominale anche in pazienti che potrebbero essere esposti ad un alto rischio con l’intervento chirurgico, a causa di una contemporanea presenza di malattie di cuore o polmoni. Tuttavia, al momento non sono disponibili dati certi sui risultati a lungo termine del trattamento endovascolare ed inoltre a volte la sua applicazione è resa impossibile dalle caratteristiche morfologiche (la forma e l’estensione della dilatazione aortica stessa).

Si può effettuare una scelta tra le due diverse modalità di trattamento solo dopo aver valutato attentamente i dati che riguardano le condizioni generali, con particolare riferimento a malattie di cuore, polmoni e reni, e le dimensioni e morfologia della dilatazione aneurismatica.

Trattamento per la displasia aritmogena del ventricolo destro

Trattamento per la displasia aritmogena del ventricolo destro

 

La terapia della ARVD/C (displasia o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) è deputata innanzitutto alla protezione dal rischio aritmico, iniziando con la modifica dello stile di vita, escludendo una attività fisica strenua, e con la terapia farmacologica: in quest’ultima sono inclusi betabloccanti, l’amiodarone e alcuni farmaci antiaritmici bloccanti di classe IC. Per questi pazienti è necessario valutare attentamente l’indicazione all’impianto di un ICD.

Trattamento per la sindrome del QT lungo

Trattamento per la sindrome del QT lungo

 

La terapia per alcune forme di LQTS è con farmaci betabloccanti o con farmaci a base di potassio.

Quando la terapia farmacologica non è sufficiente o indicata, viene consigliato l’impianto del defibrillatore, dispositivo che ha in compito di erogare shock per interrompere aritmie fatali.

Trattamento per la sindrome di Brugada

Trattamento per la sindrome di Brugada

 

Se il test per aritmie ventricolari pericolose risulta positivo, e se viene riscontrato un rischio elevato, ai pazienti colpiti da sindrome di Brugada viene suggerito il posizionamento di un defibrillatore impiantabile (ICD) che finora risulta essere la terapia con la maggior protezione contro eventi improvvisi.

Il posizionamento di un defibrillatore impiantabile viene indicato a pazienti sintomatici in cui si manifesta un pattern di tipo 1, sia spontaneo che in seguito a somministrazione di farmaci bloccanti i canali del sodio, pazienti che presentano sintomi come sincope, respiro agonico notturno, lipotimie (una volta escluse tutte le cause non cardiache, oppure ai pazienti risultati candidabili allo studio elettrofisiologico).

Anastomosi delle tube (o salpingi)

Anastomosi delle tube (o salpingi)

 

Il primo intervento chirurgico con il robot è stato eseguito sulle salpingi, ambito chirurgico fra i più complessi, riguardante le pareti delle tube uterine.

L’indicazione di procedere con la chirurgia robotica per la riapertura delle salpingi dopo legatura delle stesse per sterilizzazione volontaria, sta proprio nella qualità delle suture, che possono essere eseguite con facilità grazie agli strumenti robotici. Infatti, l’anastomosi delle salpingi prevede una serie di punti con fili riassorbibili estremamente sottili, usati per ricostruire lo strato muscolare e la sierosa delle salpingi.

L’estrema precisione dell’operazione microchirurgica riporta in letteratura in prima esperienza, un successo in termini di gravidanze del 50% (in assenza di gravidanze ectopiche). Se esistono gli estremi per eseguire un tentativo di anastomosi tubarica, la tecnica robotica rimane la prima scelta per le qualità espresse dal robot in questo genere di intervento.

Chirurgia del prolasso genitale

Chirurgia del prolasso genitale

 

Lo standard di cura del prolasso genitale è il trattamento chirurgico per via vaginale.  L’intervento per via addominale per la cura della recidiva del prolasso genitale si effettua quando la prima chirurgia ha rimosso il viscere uterino,e consiste nel posizionamento di una rete (promontosacropessia). Negli anni ‘90 si è diffusa la procedura per via laparoscopica che incrementa i tempi operatori ma ha i vantaggi della chirurgia mini-invasiva. Evitare la laparotomia in pazienti nelle quali viene posizionata una rete permanente riduce significativamente l’incidenza di infezioni peritoneali ed elimina il rischio del laparocele (ernia dell’addome dovuta al taglio). La promontosacropessia prevede l’ancoraggio di una rete alla vagina (parete posteriore, cupola vaginale e parete anteriore) ed il successivo fissaggio al promontorio sacrale.

I giorni di degenza sono ridotti (tre in media) e l’intervento con il robot permette una ridotta invasività anestesica per la paziente.

Chirurgia robotica ginecologica

Chirurgia robotica ginecologica

 

La chirurgia robotica rappresenta la nuova frontiera della chirurgia mini-invasiva. Il robot Da Vinci, uno dei robot chirurgici più diffusi al mondo, conferisce al gesto chirurgico una precisione non ottenibile con altre tecniche; si possono superare i limiti legati alla difficoltà di trattare con la laparoscopia patologie in sedi anatomiche difficili da raggiungere estendendo ad interventi complessi – con la stessa qualità ed efficacia della chirurgia tradizionale – i benefici della mini-invasività: nessuna cicatrice estesa sull’addome, ridotto tempo operatorio, minor anestesia e ripresa più rapida.

L’evoluzione della chirurgia laparoscopica è un robot che, oltre ad offrire i vantaggi della chirurgia mini-invasiva, è supportato da una strumentazione che permette di superare i limiti degli strumenti offerti dalla chirurgia laparoscopica stessa. Il robot utilizzato in Humanitas è tra le versioni più evolute, con quattro bracci e visione tridimensionale ad alta definizione.

L’intervento con il robot evita il taglio sull’addome anche per interventi ginecologici oncologici.

 

La chirurgia robotica può essere applicata nei seguenti casi:

-Anastomosi (chirurgia delle tube o salpingi)

-Miomectomia

-Interventi per tumori all’utero

-Promontosacropessia

-Endometriosi

 

Caratteristiche e vantaggi della chirurgia robotica

 

Il robot da Vinci è un sistema integrato costituito da due parti:

-Console chirurgica: la console chirurgica è il centro di controllo del robot in sala operatoria. Il chirurgo è seduto alla console e, attraverso dei manipoli che compiono movimenti a 360 gradi, comanda gli strumenti chirurgici. Attraverso il visore il chirurgo vede, in visione tridimensionale, tutto ciò che la telecamera inquadra.

-Carrello chirurgico: è  il vero e proprio robot ed è localizzato al tavolo operatorio.

 

I bracci del robot montano gli strumenti chirurgici e al tavolo operatorio sono presenti gli assistenti che coadiuvano le fasi dell’intervento.

 

Aspetti tecnico-operativi

 

Gli strumenti robotici vengono introdotti nell’addome attraverso cannule da 8 mm (trocars), fissati tramite sicure ai bracci del carrello chirurgico. Gli strumenti, in continua evoluzione, sono estremamente versatili nei loro movimenti: la loro articolazione permette sette movimenti sul proprio asse, con angolature di 90° che, in casi particolari, agevolano il raggiungimento di spazi anatomici ristretti e profondi.

 

Vantaggi generali della chirurgia robotica

 

Tutti gli interventi che possono essere eseguiti con la tecnica laparoscopica possono essere eseguiti con l’ausilio del robot, evitando così il taglio sull’addome e rispettando l’integrità corporea della donna. Con la chirurgia robotica si sono ridotti i tempi operatori (ridotta anestesia e minore stress fisico per la paziente).

L’utilizzo del robot risulta particolarmente vantaggioso nella chirurgia pelvica, quindi in ginecologia (endometriosi setto retto-vaginale, intestinale) e nella chirurgia di pazienti obese, dove l’ingombro intestinale restringe il campo di azione.

La visione tridimensionale del robot aiuta il chirurgo a visualizzare meglio nervi, vasi ed alcune strutture legamentose.

Embolizzazione dei fibromi uterini

Embolizzazione dei fibromi uterini

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini è un’alternativa mini-invasiva alla chirurgia per l’eliminazione dei fibromi uterini che consiste nell’occludere in modo selettivo i vasi sanguigni che apportano nutrimento ai fibromi.

 

Che cos’è l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini viene effettuata tramite l’impiego di materiali embolizzanti che sono introdotti mediante catetere. La procedura è eseguita generalmente in anestesia locale e il catetere è inserito sotto controllo radiologico.

 

Come si svolge l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

L’intervento si svolge in sala angiografica in condizioni di sterilità. Dopo aver somministrato alla paziente un’anestesia locale, viene incannulata l’arteria femorale e successivamente l’arteria uterina. Una volta posto il catetere nell’arteria uterina è possibile procedere con l’embolizzazione selettiva per far sì che la sostanza embolizzante utilizzata vada ad occludere l’area vascolare peritumorale. Dopo essersi assicurato della riuscita della devascolarizzazione il medico sfila il catetere e appone una medicazione compressiva sul punto d’ingresso del catetere nella cute. In caso di grossi fibromi è utile l’anestesia epidurale. L’intervento dura in media un’ora.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

Il principale vantaggio di questo trattamento consiste nella marcata riduzione dimensionale dei fibromi uterini senza dover ricorrere all’intervento chirurgico.

Il principale svantaggio di questo trattamento è l’amenorrea (in alcuni casi transitoria, in altri permanente) che si registra in una piccolissima percentuale di pazienti in seguito a questo tipo di trattamento.

 

L’embolizzazione dei fibromi uterini è dolorosa o pericolosa?

 

Essendo una procedura che prevede l’inserimento di un catetere l’embolizzazione dei fibromi uterini può provocare fastidi e dolore addominale.  È considerata, comunque, una procedura mininvasiva rispetto alla chirurgia classica cosiddetta “a cielo aperto” (prima dell’avvento dell’embolizzazione dei fibromi uterini era l’unica possibilità di rimozione dei fibromi stessi).

 

Quali pazienti posso effettuare l’embolizzazione dei fibromi uterini?

 

Non tutte le donne con fibromi uterini possono sottoporsi alla tecnica di embolizzazione dei fibromi.

Sussistono controindicazioni nel caso di:

-presenza di fibromi uterini non sintomatici;

-menometrorragie (abbondante sanguinamento uterino che si verifica sia durante le mestruazioni che nei periodi intermestruali) legate a patologie maligne;

-donne in trattamento ormonale con progestinici;

-donne con controindicazioni al cateterismo;

-donne in gravidanza;

 

particolare attenzione deve essere prestata alle pazienti con ipersensibilità o allergia ai mezzi di contrasto utilizzati per monitorare l’inserimento del catetere (che avviene sotto guida radiologica).

 

Possono invece sottoporsi a questo trattamento le donne con fibromi sintomatici che non siano peduncolati, con persistente sintomatologia emorragica o una sintomatologia che ne minacci l’integrità fisica (gravi emorragie), con presenza di un rischio anestesiologico e operatorio elevato controindicante l’approccio chirurgico classico.

 

Follow-up

 

Dopo l’embolizzazione è molto probabile la comparsa di dolore pelvico che richiede un trattamento antidolorifico appropriato. Quando i fibromi hanno un diametro di 10-12 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3a – 5a giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a sintomi come reazione peritoneale, nausea e febbre che può persistere per qualche giorno. Generalmente, se i fibromi sono di diametro inferiore agli 8 cm la dimissione avviene il giorno successivo all’intervento.  La paziente sarà controllata ogni due mesi (poi a sei mesi, a 12 mesi e infine una volta all’anno) dopo aver eseguito un eco-color-doppler per monitorare la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale; un emocromo per monitorare l’anemia e i tassi di creatina fosfocinasi (CPK) verifica la riduzione volumetrica del fibroma.

 

Ci sono norme di preparazione all’intervento?

 

Prima di sottoporsi a questo esame la paziente dovrà essere a digiuno di cibi solidi da almeno 8 ore, ma è consentito bere piccole quantità di liquidi (acqua non gassata o tè). La paziente si recherà in sala radiologica con un accesso venoso periferico.

Laparoscopia dell’ovaio

Laparoscopia dell’ovaio

 

Il trattamento per tumore dell’ovaio in età giovanile o in età fertile (tumore ovarico “borderline”) può essere affrontato per via laparoscopica asportando non solo la malattia dall’ovaio (cisti ovarica complessa) ma anche i tessuti dove più frequentemente si possono formare metastasi (appendice, omento peritoneo).

L’approccio laparoscopico per questo tumore è dimostrato essere sicuro e nella maggior parte dei casi il taglio sull’addome è superfluo.

 

L’intervento prevede la conservazione dell’ovaio e dell’utero.

Laparoscopia ginecologica

Laparoscopia ginecologica

 

E’ una tecnica chirurgica che non prevede l’incisione estesa della parete addominale, ma piccole incisioni pari a circa 5 millimetri. Attraverso le incisioni vengono introdotti gli strumenti laparoscopici, identici a quelli usati per la chirurgia tradizionale, ma miniaturizzati. Diventa quindi possibile incidere, coagulare, posizionare clips emostatiche e altro.

 

La tecnologia si è evoluta a tal punto da consentire di eseguire l’esecuzione di interventi complessi quali la resezione del retto per endometriosi, l’asportazione di uteri anche con voluminosi fibromi, cisti ovariche di qualsiasi natura o quelli oncologici dove risulta saltuariamente necessario rimuovere anche i linfonodi pelvici e lombo-aortici.

 

La chirurgia laparoscopica è indicata per:

-patologia delle ovaie e salpingi

-endometriosi

-patologia dell’utero

-prolasso genitale e incontinenza urinaria

-isteroscopia

 

Miomectomia (Asportazione di fibromi uterini)

Miomectomia (Asportazione di fibromi uterini)

 

La rimozione dei fibromi uterini per via laparoscopica ha trovato il massimo sviluppo negli anni novanta. Anche se ancora molto diffusa la miomectomia per via laparotomica. Alla base della scelta chirurgica di eseguire ancora oggi la miomectomia laparotomica ci sono l’esperienza del chirurgo ginecologo e la qualità della sutura, ma è dimostrato che la sutura laparoscopica ha le stesse caratteristiche di quella eseguita con laparotomia. La sutura con il robot inoltre riduce il tempo totale dell’intervento e il sanguinamento del muscolo uterino.

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

Chirurgia refrattiva con laser a eccimeri

 

La chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri è una tecnica chirurgica sicura ed efficace grazie alla quale si possono correggere i difetti di vista (miopia, astigmatismo, ipermetropia) applicando il trattamento sulla superficie corneale. La capacità del laser di rimuovere parti microscopiche con estrema precisione viene sfruttata per “rimodellare” la curvatura corneale, così facendo è possibile eliminare o ridurre difetti comuni della vista come miopia, ipermetropia e astigmatismo eliminando la necessità di indossare a vita occhiali e lenti a contatto.

 

Il laser ad eccimeri può correggere i difetti visivi mediante la vaporizzazione a freddo del tessuto corneale in modo mirato.  Questo può avvenire in superficie con vari metodi: PRK, LASEK, epiLASIK e ASA che si differenziano l’una dall’altra solo per la preparazione preliminare all’azione del laser, o in profondità dopo avere tagliato e sollevato uno strato superficiale di cornea. L’applicazione del laser a eccimeri che segue è identica per i due trattamenti.

Il fronte avanzato di questa chirurgia sono i trattamenti customizzati, cioè un rimodellamento della cornea mediante laser ad eccimeri che tiene conto delle caratteristiche individuali e spesso consente una visione migliore rispetto ai trattamenti standardizzati.

 

Che cos’è la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Il laser a eccimeri permette di rimuovere parti microscopiche del tessuto della cornea modificando la forma della zona più importante per la messa a fuoco (zona ottica) e migliorando anche il profilo della cornea periferica circostante. Grazie all’energia creata dal laser si produce una “evaporazione” del tessuto bersaglio senza danneggiare i tessuti circostanti. Il tessuto viene asportato con una precisione straordinaria, impossibile per la mano umana, nell’ordine del micron (millesimo di millimetro) per ogni colpo emesso e con una riproducibilità non raggiungibile a tutt’oggi da nessun altro mezzo.

 

Come funziona la chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Il giorno dell’intervento il medico specializzato eseguirà un controllo del vostro stato di salute ed eseguirà un ulteriore controllo di sicurezza dei dati della vostra cartella clinica.  Questi controlli fanno parte della filosofia di Humanitas che tutela la vostra sicurezza verificando più volte, mediante “check list” dedicate, i vostri dati clinici. Una volta finiti gli accertamenti il nostro personale infermieristico dedicato si prenderà cura di somministravi le terapie indicate dal vostro chirurgo e di fare la preparazione all’intervento.

 

I pazienti possono mangiare e bere normalmente prima del trattamento.

È importante essere  struccate e non profumate (i vapori di alcool infatti possono interferire con il raggio laser) ed evitare profumi e dopobarba alcolici.

È senz’altro consigliabile presentarsi con un accompagnatore tenendo in considerazione che dopo il trattamento non è consigliabile la guida; la lacrimazione unita all’insofferenza alla luce la renderebbe pericolosa.

È inoltre importante riportare tutti gli esami preliminari eseguiti in precedenza.

Normalmente l’intervento viene eseguito per entrambi gli occhi nella stessa seduta operatoria.  In casi particolari il chirurgo può decidere di eseguire gli interventi separatamente in due sedute diverse.

 

Tutte le tecniche vengono abitualmente eseguite in ambulatorio, con anestesia topica (gocce).

È importante sospendere l’utilizzo delle lenti a contatto per almeno 7 giorni prima della visita per riportare le caratteristiche oculari nel modo più inalterato possibile.

Prima dell’intervento è preferibile sospendere le lenti a contatto per almeno 4 giorni.

 

Quali sono i vantaggi della chirurgia refrattiva con laser a eccimeri?

 

Dopo oltre 20 anni di esperienza l’incidenza di complicanze legate all’intervento è estremamente bassa. La chirurgia refrattiva è un trattamento estremamente preciso e oggi può essere considerata una tecnica efficace e sicura, perché l’intervento elimina o riduce marcatamente i difetti di vista nella maggior parte dei pazienti.

 

Questi risultati si ottengono se gli interventi sono eseguiti da chirurghi ben preparati ed in centri altamente specializzati. È fondamentale che l’equipe sia formata da professionisti esperti che eseguano un’approfondita valutazione e selezione del paziente e sappiano escludere i pazienti non idonei all’intervento, selezionando solo i casi in qui si può attendere un buon risultato.

Va rilevato che ogni atto di chirurgia refrattiva quale che sia la tecnica adoperata, si rivolge alla risoluzione dei soli difetti di refrazione ma non modifica quelle patologie che possono essere associate al difetto di vista. Ad esempio un miope con alterazioni retiniche che compromettono parte della sua funzionalità visiva non può sperare di vedere risolto questo problema da un intervento chirurgico a scopo refrattivo né l’intervento può costituire un trattamento preventivo per eventuali, possibili, successive complicanze retiniche.

 

Guarda il video in cui il Dott. Paolo Vincigurra, responsabile di Humanitas Centro Oculistico, spiega la chirurgia refrattiva con laser ad eccimeri.

Cross-Linking Corneale (CXL)

Cross-Linking Corneale (CXL)

 

Il Cross-Linking Corneale (CXL) si è affermato negli ultimi anni come terapia di elezione del cheratocono in grado di evitare nella maggior parte dei casi il trapianto di cornea. Si tratta di un trattamento parachirurgico “a bassa invasività” che consiste in un “rinforzo” della cornea ottenuto mediante l’effetto combinato di vitamina B2 e raggi ultravioletti.  L’Istituto Clinico Humanitas fin dal 2006, è stato unico centro di riferimento italiano del primo studio multicentrico internazionale europeo, sotto la direzione del Dottor Paolo Vinciguerra.

 

 

Che cos’è il Cross-linking Corneale (CXL)?

 

Il metodo anche noto come “fotodinamica corneale” è una terapia parachirurgica che ha come obiettivo quello di aumentare la connessione fra le fibre e la loro resistenza. Esse compongono la cornea, ed in questo modo si contrasta e in buona parte dei casi si arresta l’evoluzione del cheratocono.

 

Il CXL prevede una prima fase di “impregnazione” della cornea, mediante istallazione di gocce di collirio a base di riboflavina, la vitamina B2; successivamente si procede alla fase di “irradiazione” esponendo il tessuto corneale ad un fascio laser di raggi ultravioletti di tipo A (UVA) a basso dosaggio. Grazie all’azione combinata della vitamina B2 e dei raggi UVA si ottiene un aumento dei ponti molecolari che conferiscono maggiore resistenza agli strati più interni della cornea, rendendola più rigida e meno soggetta al processo di sfiancamento, caratteristico del cheratocono.

 

 

Come funziona il Cross-Linking Corneale (CXL)?

 

Esistono due modalità di trattamento con e senza rimozione dell’epitelio. Il medico indica il trattamento idoneo al paziente.

L’intervento è ambulatoriale ed effettuato in anestesia in gocce. Il paziente dopo l’intervento può tornare a casa e deve essere accompagnato. Nei 2-3 giorni successivi al trattamento si può presentare una sintomatologia caratterizzata da dolore intenso, sensazione di corpo estraneo, fotofobia. Dopo l’intervento occorre osservare almeno due giorni di riposo (preferibilmente a letto, in un ambiente poco luminoso).

 

Nei giorni seguenti è importante evitare la lettura, la TV e gli agenti infastidenti (luce, polvere, ecc), avendo cura di dormire almeno 10-12 ore per notte. La terapia postoperatoria prevede l’utilizzo di antidolorifici per ridurre tale sintomatologia.

Nei trattamenti senza rimozione dell’epitelio sintomi sono quasi assenti e il recupero più rapido.

 

 

Quali sono i vantaggi del cross-linking corneale (CXL)?

 

Quando ve ne sia indicazione è molto importante intervenire precocemente poiché il Cross-Linking è in grado arrestare l’evoluzione del cheratocono a partire dal momento in cui viene esso trattato. L’intervento di UVA Cross-Linking corneale non sfugge alla regola generale secondo la quale non esiste una chirurgia senza rischi.  Trattandosi di un intervento chirurgico a bassa invasività ed a bulbo chiuso, i rischi di grave compromissione funzionale connessi con la chirurgia intraoculare sono esclusi anche se sono possibili complicanze prima, durante e dopo l’intervento che possono condizionare il recupero funzionale della vista.

 

Il cross-linking corneale (CXL) è doloroso o pericoloso?

 

Il trattamento non è doloroso, dura meno di un’ora, durante la quale il paziente viene fatto accomodare disteso su di un lettino. L’intervento avviene in sala operatoria in ambiente sterile. Al termine dell’intervento viene applicata una lente a contatto. Il rischio di complicazioni, non eliminabile, dipende dalla gravità della patologia oculare pre-operatoria e dalla collaborazione che il paziente presta nell’eseguire le indicazioni post-operatorie impartite.

 

Quali pazienti possono effettuare il cross-linking corneale (CXL)?

 

Tutti i pazienti che presentino l’indicazione al trattamento. Anche i bambini possono essere sottoposti all’intervento, In questo caso la repentina progressione della malattia consiglia una estrema precocità nel trattamento.

 

Follow up

 

E’ essenziale l’esecuzione di periodici controlli post-operatori nei mesi successivi al trattamento, a cadenza quotidiana fino alla rimozione della lente a contatto. Il paziente esegue i successivi controlli, che devono comprendere: topografia corneale, tomografia corneale, conta endoteliale ed OCT del segmento anteriore. I controlli vanno effettuati ad un mese, tre mesi, sei mesi e ad un anno dall’intervento. A causa dell’assestamento post-operatorio degli strati più superficiali della cornea (epitelio), la valutazione dei risultati conseguiti va eseguita ad almeno un mese dal trattamento. I pazienti sottoposti a cross-linking possono riprendere l’uso di lenti a contatto a partire da 40gg dopo l’intervento e previo parere favorevole dell’oculista curante.

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

Il giorno del trattamento è preferibile presentarsi con un accompagnatore, in considerazione del fatto che dopo il trattamento non si potrà, essenzialmente per ragioni di sicurezza stradale, procedere alla guida di autoveicoli.

Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina

Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina

 

L’Iniezione intravitreale di farmaco per patologie di retina è un trattamento delle patologie retiniche mediante iniezione intraoculare di farmaco.

Da alcuni anni è entrata nella pratica clinica dell’oculista la terapia di patologie retiniche mediante iniezione del farmaco direttamente all’interno dell’occhio. Questo nuovo approccio terapeutico ha permesso di migliorare la prognosi di diverse patologie retiniche riducendo la percentuale di peggioramenti visivi.

 

Che cos’è l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

I farmaci attualmente approvati ed utilizzati per uso intraoculare sono farmaci anti-VEGF (inibitori della formazione di nuovi vasi sanguigni) e cortisonici. I primi (anti-VEGF) sono utilizzati nel trattamento della degenerazione maculare senile essudativa, nell’edema maculare diabetico e nell’edema maculare secondario a trombosi dei vasi retinici.

I secondi (cortisonici) sono approvati ed utilizzati per il trattamento dell’edema maculare secondario ad una trombosi dei vasi retinici e per patologie infiammatorie dell’occhio (ad esempio l’uveite).

 

Come funziona l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

L’iniezione viene eseguita in ambiente controllato (sala operatoria) in condizioni di sterilità e in regime ambulatoriale. Il paziente quindi, una vola eseguita l’iniezione, può tornare a casa accompagnato dai familiari. L’iniezione è eseguita con anestesia topica, cioè mediante istillazione di colliri anestetici. La terapia post iniezione è a base di colliri. Il primo controllo è eseguito in ambulatorio il giorno successivo. A distanza di circa 2-3 settimane, e in base ai casi, sarà eseguito il controllo successivo.

 

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’iniezione intravitreale di farmaco?

 

Il trattamento con farmaci intraoculari ha dimostrato una buona efficacia nel trattamento di diverse patologie retiniche come la degenerazione maculare senile essudativa, un edema maculare secondario a retinopatia diabetica e a trombosi venosa.  Gli effetti indesiderati riportati di tali trattamenti sono rari e tra questi ricordiamo: aumento della pressione intraoculare, mal di testa, vitreite (infiammazione dell’occhio), distacco di vitreo, emorragia retinica (sanguinamento della parte posteriore dell’occhio), disturbi visivi, dolore oculare, mosche volanti (macchie nel campo visivo), emorragia congiuntivale (sanguinamento nella porzione anteriore dell’occhio), irritazione oculare, sensazione di avere un corpo estraneo nell’occhio, aumento della lacrimazione, blefarite (infiammazione delle palpebre), secchezza oculare, iperemia oculare (arrossamento), prurito oculare, artralgia (dolore articolare) e naso faringite (infiammazione del naso e della gola) etc. Raramente possono osservarsi più’ gravi complicanze quali: endoftalmite (infezione del globo oculare), infiammazione oculare grave, lesione alla retina e cataratta. La complicanza sistemica più’ temibile e’ la tromboembolia.

 

L’iniezione intravitreale di farmaco è dolorosa?

 

La durata dell’iniezione è circa un minuto, la sensazione avvertita dal paziente è minima e della durata di pochi secondi.

 

Quali pazienti possono effettuare l’iniezione intravitreale di farmaco?

 

Non esistono controindicazioni assolute alle iniezioni intravitreali per patologie sistemiche.

Esistono diversi profili di rischio soprattutto per pazienti cardiopatici e vasculopatici o per allergie accertare ai farmaci contenuti all’interno di questi medicamenti.

 

Sono previste norme di preparazione al trattamento?

 

L’intervento è effettuato in posizione supina, in un ambiente chirurgico sterile (sala operatoria), con l’ausilio da parte dell’operatore del microscopio. L’atto chirurgico si articola in diverse fasi:

 

-disinfezione della cute perioculare e del sacco congiuntivale

-iniezione intravitreale a 3.5/4.0 mm dal limbus per via transcongiuntivale

-controllo intraoperatorio del tono oculare ed eventuale paracentesi evacuativa dalla camera anteriore

 

 

Dopo l’esecuzione dell’intervento chirurgico verranno fornite dal medico le indicazioni a cui attenersi adatte al caso di ogni singolo paziente.

 

Follow up

 

I controlli successivi alle iniezioni intravitreali sono cardine della terapia stessa. Devono essere effettuati nei tempi e nei modi suggeriti dall’oculista per garantire la giusta efficacia terapeutica.

 

Intervento per strabismo

Intervento per strabismo

 

Lo strabismo è una malattia comune che riguarda il 4-5% della popolazione.

Il Centro Oculistico Humanitas si occupa dei problemi di strabismo riguardanti ogni fascia di età. Nell’ambito dello strabismo dell’adulto vengono trattati tutti i tipi di strabismo, come quelli causati da:

-scompenso di uno strabismo congenito

-strabismo secondario a problemi neurologici o neurochirurgici

-secondario a problemi organici oculari

-secondario a disordini tiroidei

-strabismi postraumatici

-restrittivi o di altra origine

 

Presso Humanitas si pratica la chirurgia dello strabismo anche utilizzando la più recente metodica denominata MISS (Minimally Invasive Strabismus Surgery) che, riducendo al minimo il trauma chirurgico mediante l’utilizzo di aperture congiuntivali di pochi millimetri, minimizza fino ad eliminare fastidiosi problemi post-intervento quali dolore, occhio rosso, gonfiore palpebrale; questi problemi con l’usuale metodica perdurerebbero spesso per qualche settimana.

 

Che cos’è?

 

L’intervento chirurgico ha l’obiettivo di riallineare gli assi visivi agendo sui muscoli che controllano gli occhi.  Per fare questo è necessario modificare la forza con cui i muscoli sono in grado di far muovere i bulbi oculari.

A tal fine è possibile:

-“rinforzare” un muscolo accorciandolo mediante un intervento di plicatura (in Humanitas è ormai abbandonato da anni l’intervento di resezione, ritenuto troppo demolitivo)

-“indebolirlo” mediante un intervento di recessione

 

Come funziona l’intervento per strabismo?

 

Gli interventi per lo strabismo e per la diplopia possono essere effettuati sia in anestesia topica sia in anestesia generale. Nella maggior parte dei casi il paziente resta in osservazione alcune ore dopo la chirurgia, e raramente è necessario il ricovero, mai comunque superiore ad una notte.

 

L’intervento per strabismo è doloroso o pericoloso?

 

Gli interventi di correzione dello strabismo, pur se non francamente dolorosi, determinano comunque un certo disconfort postoperatorio (dolore, occhio rosso, gonfiore palpebrale) che può perdurare per alcune settimane.

Al fine di ridurre tale disagio in Humanitas, in alcuni casi, si pratica la chirurgia dello strabismo anche utilizzando la più recente metodica denominata MISS (Minimally Invasive Strabismus Surgery) che riduce al minimo il trauma chirurgico.

 

 

Quali pazienti possono effettuare l’intervento per strabismo?

 

Solo una valutazione preoperatoria scrupolosa e completa unita all’esperienza del chirurgo su tutte le possibili tecniche di chirurgia potranno portare alla scelta della miglior strategia chirurgica per il caso specifico.

 

Follow up

 

I pazienti operati per strabismo vengono sempre controllati il giorno successivo all’intervento, dopo una settimana e dopo sei settimane. Successivamente si procede a visite con cadenza annuale.

 

Sono previste norme di preparazione all’intervento?

 

Non sono necessarie metodiche specifiche di preparazione all’intervento. Quando si è concordato l’intervento con il paziente, si programma l’usuale routine pre-ricovero in maniera non dissimile da quella di un qualunque intervento chirurgico (esami ematici di routine, ECG, visita anestesiologica con gli accertamenti ritenuti necessari dall’anestesista).

 

Alternative alla chirurgia

 

La chirurgia è spesso l’atto finale di una serie di processi diagnostico-terapeutici mirati a comprendere e, ove possibile, a risolvere le cause dello strabismo.

Nei bambini la chirurgia deve essere sempre preceduta, e spesso anche successivamente accompagnata, da un’attenta valutazione della funzionalità visiva in tutti i suoi aspetti, diventando infine la risoluzione di uno sgradevole e quanto mai disturbante inestetismo.

In alcuni strabismi degli adulti, essenzialmente in quelli con un angolo piccolo e in quelli che prevediamo siano in miglioramento spontaneo, nei quali spesso il sintomo prevalente è la visione doppia, una buona opzione terapeutica è offerta dalla correzione con lente prismatica inizialmente adesiva applicabile alla lente correttiva e successivamente incorporata alla stessa.